Nonostante ci sia il divieto di iscrizione ai social network prima dei 13 anni di età, i bambini si aggirano fin da piccolissimi sulle diverse piattaforme social attraverso lo smartphone o il tablet dei genitori e quasi 8 adolescenti su 10 (il 78%) dagli 11 ai 13 anni, hanno almeno un profilo personale approvato dai genitori.
Permettendogli l’accesso nonostante il divieto, i primi ad infrangere le regole sono proprio i genitori. Inoltre, la maggior parte di loro, non legge neanche gli standard della comunità e il “codice di comportamento” prima di iscriversi ad un social network.
Da quanto emerge dai report annuale presentato dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza su un campione di 11.500 adolescenti dagli 11 ai 19 anni su tutto il territorio nazionale, il vero problema dei ragazzi oggi, sono le chat di messaggistica istantanea, i gruppi su WhatsApp, utilizzati in modo improprio sin dalle scuole elementari, non solo dai genitori, ma anche dai bambini, diventati terreno fertile per i baby cyberbulli che agiscono indisturbati sotto gli occhi ciechi dei genitori, ignari di ciò che accade all’interno dei loro telefoni.
Non ci dobbiamo, quindi, stupire se dagli 11 ai 13 anni di età, 1 adolescente su 10 subisce cyberbullismo, rispetto all’ 8,5% dai 14 ai 19 anni. Le femmine sono ancora le vittime predilette dai cyberbulli (70%) che sono per oltre il 60% di sesso maschile.
Cyberbullismo e sexting, il vero problema è il cyberbullismo sessuale
I problemi legati alla rete non ruotano solo intorno al cyberbullismo, fin dagli 11 anni di età la tendenza degli adolescenti è quella di scattarsi selfie intimi e senza vestiti ed inviare le immagini o i video nelle chat, fenomeno che prende il nome di SEXTING. Ciò che allarma è l’età dei ragazzi coinvolti, sempre più bassa, sono infatti il 6% dei preadolescenti dagli 11 ai 13 anni, di cui il 70% sono ragazze, che praticano il sexting e circa 1 adolescente su 10, dai 14 ai 19 anni.
Questo scambio di immagini con contenuti intimi ha favorito l’incremento del cyberbullismo di tipo sessuale, che racchiude il 33% degli episodi di cyberbullismo.
Nell’ambito delle violenze a sfondo sessuale o comunque legate all’abuso dei sentimenti, si sta diffondendo un fenomeno ormai mediatico che si chiama “Pull a pig” o “inganna il maiale”. Funziona così: un ragazzo, in genere quello più ricercato del gruppo, deve fare lo spavaldo davanti agli amici, avvicinare una ragazza, considerata poco avvenente, appunto un maiale o comunque lontana dai canoni di bellezza tradizionali, con lo scopo di farle credere di essere interessato a lei, conquistarla, a volte addirittura arrivando a consumare l’atto sessuale, per poi umiliarla, anche pubblicamente, dicendole che si trattava solo di uno scherzo.
Condivisori e commentatori uccidono più dei cyberbulli
Il vero problema del cyberbullismo, coloro che creano in assoluto più danni alla vittima, non sono solo i cyberbulli ma i “condivisori” e i “commentatori” come li definisco nel report dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza. Sono coloro che alimentano la viralità, che rinforzano le violenze che una persona subisce, che rincarano la dose e creano quel peso eccessivo da reggere da un punto di vista psicologico, spesso fatale.
È, infatti, su coloro che condividono e che commentano in maniera cattiva e dispregiativa che si deve lavorare, sono loro che alimentano il problema, lo rendono pubblico e visibile e sono complici dei cyberbulli, degli odiatori.
Le parole fanno più male delle botte, le condivisioni uccidono, creano ansia, depressione, disturbi alimentari e portano le vittima a farsi intenzionalmente del male come dimostrano i dati per cui per oltre il 50% di coloro che subiscono violenze digitali si autolesiona.
Il 4% degli adolescenti dai 14 ai 19 anni e un 5% dagli 11 ai 13 anni ha filmato o fotografato un coetaneo mentre qualcuno gli faceva del male, senza intervenire, pur di fare un filmato e magari renderlo poi virale. 3 adolescenti su 10, vengono esclusi intenzionalmente dai gruppi WhatsApp. Se si viene esclusi, è un gruppo intero che esclude, che è consenziente, che non fa niente per evitarlo e per salvare la vittima ed è quindi altrettanto colpevole, come coloro che commentano con faccine e parole pungenti . Quello che fa più male alle vittime è che tutti sanno e nessuno interviene, anzi, invece di lasciare il problema in sordina, lo alimentano e lo rendono pubblico e virale. I commentatori e i condivisori non si sentono responsabili e colpevoli in quanto non agiscono in prima persona, non capendo di esserlo quanto un cyberbullo.
L’Hate Speech in adolescenza e il profilo dei giovani haters
Uno dei problemi più dilaganti in rete è l’Hate Speech, fenomeno che racchiude tutti quei discorsi, commenti, messaggi e parole cariche di odio che vengono indirizzate gratuitamente verso altre persone, nascosti dietro uno schermo e a volte anche dall’anonimato. Gli haters sono in forte crescita anche tra gli adolescenti, parliamo di un 22%, oltre 2 su 10, di ragazzi tra i 14 e i 19 anni, di cui il 53% sono maschi, che intenzionalmente commentano in maniera negativa e aggressiva foto, video, immagini, con lo scopo di offendere l’altro. È importante sottolineare che oggi non si può più parlare di fenomeni scissi gli uno dagli altri, si deve analizzare e avere chiara la rete della rete, perché è tutto interconnesso.
L’Hate Speech e il cyberbullismo vanno di pari passo in rete, tant’è che il 64% degli “odiatori” mette anche in atto comportamenti di cyberbullismo.
Questi ragazzi, soprattutto i più violenti, sono completamente senza controllo da parte degli adulti, il 90% degli haters dichiara, infatti, che i genitori non controllano mai il loro telefono e le loro attività online.
L’odio in rete, soprattutto quando è sommato al cyberbullismo, assume proporzioni importanti e diventa piuttosto grave perché va ad intaccare nel profondo l’autostima dei ragazzi vittime di questa violenza gratuita.
La relazione tra problemi legati all’umore e l’uso improprio dei social, infatti, è molto importante, è estremamente complesso reggere il confronto costante e continuativo con gli altri, soprattutto quando si viene presi di mira e non ci si capacita della motivazione che spinge un coetaneo ad essere così cattivo e privo di sensibilità nei confronti di un altro adolescente.
di Maura Manca, presidente Osservatorio Nazionale Adolescenza
L’articolo è stato pubblicato sull’Osservatorio Cyberbullismo di Repubblica.it in data 25 ottobre 2017: